VIDEODROME – "The Big Shave", Martin Scorsese

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Martin Scorsese

The Big Shave e’ il terzo cortometraggio di Martin Scorsese, prodotto nel  ’67 per un corso  chiamato Sight & Sound Film alla New York University. Si trattava dell’esame finale, e leggenda vuole che alla proiezione ci fosse un produttore famoso, che subito dopo aver visto il corto gli avesse proposto di dirigere un lungometraggio. Questo lavoro puoò quindi essere considerato il trampolino di lancio della carriera di Martin, che nonostante la giovane età e la poca esperienza era già un regista artisticamente maturo. In questo corto si possono ritrovare molti tratti distintivi dei suoi film successivi: un certo gusto per l’ironia, taglio fotografico decisamente inusuale, uso del montaggio “emotivo”, e tanto, tanto sangue.

Soprattutto il montaggio emotivo, o emotional cut, sarà un elemento ritrovabile in tutta la sua filmografia di quegli anni. Si tratta della pratica del “rompere la quarta parete”, che per il cinema ed il teatro rappresenta il lato della telecamera e dell’audience. Nel periodo classico del cinema (1920-1950 ca.)  si tendeva ad eliminare tutti quegli elementi che potevano ricordare allo spettatore che stava guardando un film, e quindi rompere l’illusione di realtà. Col maturare dei  film, e degli spettatori, alcuni registi hanno cominciato a sperimentare con queste rotture – sguardo in camera, ripetizioni, slow motion, jump cut – e col tempo è stata elaboratea la teoria dell’ emotional cut, per la quale non è necessaria  l’unità logica e spazio-temporale del passaggio tra uno shot e l’altro, purchè l’unità emotiva dell’azione rimanga intatta o venga amplificata (spesso queste tecniche vengono utilizzate più semplicemente per esprimere un commento su ciò che si sta mostrando). Questo è il principale motivo degli errori di continuità nei film, quelli che molti bloopers adorano – inutilmente- scovare. In questo corto ne abbiamo un esempio quando l’azione del togliersi la maglietta viene ripetuta più volte da diversi angoli.

A differenza dei due corti precedenti, che vedevano come protagonista dei rappresentanti della comunità italo-americana – tema che verrà ripreso più volte – questo corto parla di un ragazzo bianco tipicamente Americano, molto concentrato sul suo farsi la barba. Il tutto viene accompagnato da un’allegra canzone anni ’50 di Bunny Berigan, “I can’t get started”. La critica è piuttosto chiara se si considera la scritta “Viet ‘67” nei titoli di coda (che spesso viene indicata come titolo alternativo al corto). L’automutilazione insensata del ragazzo è paragonata all’inutilità della Guerra in Vietnam, che stava sacrificando le vite di un’intera generazione di giovani Americani. Ovviamente il corto può essere interpretato in diversi modi, anche se il regista stesso sembra aver confermato questa lettura.

Che resta da dire? Beh, per chi ama il genere, è certamente piacevole da vedere!

Buona rasatura!

Edoardo Vojvoda