Prime Stesure N 7 – "Assolutamente Nulla", Raffaele Guida

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Prime Stesure

Raffaele Guida è nato a San Felice a Cancello(CE) il 3/1/1987. Nel 2006 e si reca a Roma dove si iscrive all’indirizzo di Lettere, Musica e Spettacolo dell’università della Sapienza. Dopo appena un anno compila la domanda di rinuncia agli studi. Rimane altri tre anni a Roma esercitando i mestieri più disparati, per poi ritornare a Marina di Minturno. L’esperienza dei tre anni romani caratterizzerano le sue raccolte poetiche “Proserpina raccoglie bacche nell’Ade” del Filo Editore (2009) e “Vietato cantare all’ora di pranzo” della Perrone Editore Lab (2010).

Compare con poesie e racconti su diversi numeri della rivista De-comporre, curata da Simone Lucciola, Ambra Simeone e Massimiliano Condreas, dell’associazione culturale omonima. Ha preso parte a eventi teatrali della compagnia teatrale Mimesis, oltre a comparire nell’antologia “La strada dei passi perduti”, sempre con l’associazione culturale Mimesis. Attualmente impegnato nel laboratorio teatrale di Roberta Costantini, prossimi a debuttare nel luglio del 2011, (in)seguendo la sua personale ricerca letteraria e prossimo ad uscire in un’antologia curata da Armando Saveriano, presidente fondatore dell’associazione culturale Logopea, nonché scrittore e maestro in arti sceniche.

Buona Lettura!

 

ASSOLUTAMENTE NULLA

 

Era sdraiato sul suo letto. I suoi occhi erano chiusi. Nella stanza era accesa una fioca lampadina. Tutt’intorno un solo e infinito mortuario silenzio. Dalla finestra semiaperta s’insinuavano infantili e deboli gli schiamazzi dell’osteria sotto casa, ma erano rumori che lui non poteva sentire. Una mosca si poggiò sul suo naso.

La mosca, descrisse un giro su sé stessa, poi avanzò verso la fronte con le sue zampe nere. Volò via.

Sul tavolino, accanto al letto, v’era da quasi due anni una bottiglia vuota di rhum.

Era una stanza piccola quella. Potrebbe essere stata larga due metri e lunga altri due metri.

Quando entrò per la prima volta in quella stanza, se ne innamorò, la elesse a suo eterno rifugio.

Ora faceva quasi tenerezza, lì riverso sul letto.

Accanto la bottiglia di rhum, sul tavolino, erano conservate una ventina di lettere. Erano lettere d’amore, che non aveva spedito mai. Decise di mantenerle, perché inutile sarebbe stato recapitarle alla donna interessata. Erano parole indecifrabili. Spesso non erano neanche parole. Neanche lui sapeva cos’erano precisamente. Nel bene o nel male, sarebbero state gettate, o bruciate, o strappate.

Così come il suo sentimento sarebbe destinato a morire con il suo corpo, allo stesso modo decise di portare via con sé i suoi pensieri più profondi, incomunicabili.

Era un sentimento d’assenza, il suo, che decise tempo addietro di perpetuarlo nella morte.

Sarebbe stata la sua eterna assenza, sarebbe stata la sua unica preghiera.

Ciò che è, non si può venerare.

L’avrebbe fatta santa e l’avrebbe bestemmiata. Ma i santi per essere santi, per essere bestemmiati hanno bisogno degli uomini. Lei non aveva bisogno nemmeno di sé stesso, neanche un poco. Lei era un essere umano. E lui era un essere umano. E come tutti gli esseri umani inequivocabilmente un giorno non l’avrebbe mai più rivista. E non tutti gli esseri umani decidevano di dover aver bisogno di altri esseri umani. Lui comunque cercò di instupidirsi, in ogni modo. Ma i liquori, che un tempo credeva suoi alleati, lo allontanavano invece sempre di più da ogni altare.

Ciò non seppe distinguerlo in un giudizio morale. Era comunque la sua condizione. La mosca si poggiò su un dito della sua mano, volò via e si poggiò sulla bottiglia di rhum. Sfregò le zampe. Sentì l’aroma dolciastro vicino al tappo. Fece un giro frenetico intorno il collo della bottiglia, poi volò via nuovamente.

Lui aprì gli occhi. Si alzò dal letto, si sedette al suo tavolino. Prese a rovistare quelle buste chiuse nelle quali erano conservate le lettere. Doveva decidere se gettarle o meno. Avrebbe dovuto gettare un’assenza che si era costruito, sarebbe stata una follia. Sarebbe stato darle soffio vitale. E nel paradosso di conservare quelle lettere, invece avrebbe mantenuto la testimonianza del suo fallimento, della sua mancanza. Volontaria o meno, l’avrebbe lasciato decidere ad altri.

Mancavano qualche milione di secondi alla sua morte. Avrebbe resistito.

Non sarebbe dovuta morire lei, avrebbe dovuto leggere quell’incomprensibilità subto dopo che egli sarebbe deceduto.

Solo in quel caso avrebbe riuscito ad uccidere la retorica per pochi attimi.

Ma più di tutto, doveva ora ricordarsi che lavoro faceva. Non lavorava da un giorno e già se ne dimenticò. Non riusciva a ricordarsi del suo lavoro, una volta giunto in casa. A causa di ciò, diverse volte rischiò il licenziamento.

S’accese una sigaretta, come se fosse bastata una boccata di sigaretta a risolvergli quel terribile, assillante problema. Cominciò a grattarsi il capo, sbuffando fumo e tenendo gli occhi chiusi nel tentativo di ricordare, e più cercava di ricordare, più non faceva altro che allontanarsi da un qualsiasi ricordo. Cominciò allora a provare a ricordare qualche nome di un qualche suo collega, per facilitare il tutto.

Gli parvero dei nomi inconcludenti ed insignificanti, che non avevano il benché minimo peso sull’andatura della sua vita.

La sigaretta era quasi finita. Pensò per un attimo allora di essere un egocentrico. Ma rifiutò quell’immagine, poi strizzò la sigaretta nel portacenere. A quel punto smise di pensare ed appoggiò i gomiti sul tavolo tenendosi la testa, meditando sulla sua sconfitta.

Stette così per qualche secondo, poi decise di riadagiarsi a letto. Non sapeva che ore erano, ma avrebbe dormito. L’indomani sarebbe dovuto andare a lavorare e solo in quel momento si sarebbe ricordato cosa avrebbe dovuto fare.

Tenne la luce accesa. Fuori pioveva e lui si sentiva felice perché pioveva.

Chiuse gli occhi. La mosca si riappoggiò sul suo naso.

 

Raffaele Guida

Raffaele Guida