
Foto di Mattia Balsamini
È un piacere vedere come un giovane artista come The Sleeping Tree si sia evoluto negli anni e come questa evoluzione sia chiara ed evidente ascoltando i suoi dischi. Questa evoluzione non è frutto del caso, ma di un lavoro costante e di collaborazioni azzeccate. In occasione dell’uscita di Painless, abbiamo voluto incontrare nuovamente Giulio e farci raccontare la genesi di questo album.
Com’è avvenuto il passaggio alla tempesta?
Il passaggio alla Tempesta è stato naturale. Ovviamente ci conoscevamo già grazie ai Mellow Mood, ma avevo suonato anche nel disco dei TARM, registrando alcune chitarre. Inoltre Paolo, durante la lavorazione del disco dei Tre Allegri Ragazzi Morti, aveva fatto sentire i miei pezzi ai membri della band. Il mio progetto era quindi già conosciuto ai ragazzi de la Tempesta, che erano venuti spesso a sentirmi. Grazie a questi contatti la proposta di far uscire il disco con loro è nata spontaneamente da entrambi le parti.
Quando avevamo intervistato Paolo Baldini stavate lavorando al disco, e mi aveva anticipato che voleva farti lavorare in modo diverso da quello a cui eri abituato. Cos’è cambiato nel tuo approccio lavorando a questo disco?
Mi sono sempre trovato bene a lavorare con Paolo, c’è una buona sinergia che si è creata lavorando assieme su molti progetti diversi e lo ritengo il produttore più bravo in Italia in questo momento.
I pezzi c’erano già e gli piacevano, quindi non sono stati stravolti da un punto di vista compositivo, mi ha lasciato grande libertà. Abbiamo snellito le parti di chitarra, pulito gli accordi togliendo qualche alterazione, per ottenere, passami il termine, un risultato più “pop”.
Quello su cui abbiamo lavorato di più è stata l’impostazione vocale. È stata la prima volta in cui sono stato messo a confronto con un impostazione diversa della voce, più matura. Questo approccio ha richiesto più tempo di quanto mi aspettassi. Negli altri dischi avevo sempre sottovalutato il peso che va messo nell’esecuzione vocale. Abbiamo iniziato a lavorare al disco un sacco di tempo fa, ma ad un certo punto, circa a settembre, abbiamo deciso di rifare tutto completamente. Da quel momento in realtà le cose sono andate velocemente, registrando le chitarre in un paio di giorni, per poi concentrarsi sulle voci nell’arco di circa dieci giorni.
Riascoltando i tuoi dischi si possono cogliere alcuni temi ricorrenti. Uno di questi è sicuramente il dolore, che in qualche modo è presente anche nell’ultimo lavoro, anche se in negativo…
Painless è una parola che mi piace molto, perché mette comunque in evidenza il dolore, non è una parola felice a prescindere, evoca un senso di stordimento, di qualcosa di attutito. Credo che il folk abbia una componente molto affascinante che riguarda il dolore e in generale la musica moderna è condizionata da quello che potremmo definire male di vivere. Mi piace ribaltare questa cosa, probabilmente aiutato dall’influenza che il reggae ha su di me. Cerco di inquadrare la sofferenza in modo positivo, la vedo come il punto di partenza per un’evoluzione positiva, si tocca il fondo per risalire, non per compiacersi di questa bassezza.

Foto di Mattia Balsamini
I tre dischi sono molto diversi tra loro, corrispondono a tre periodi diversi della tua vita…
Effettivamente i dischi rispecchiano momenti diversi della mia vita e questo sicuramente è uno degli elementi che li distingue l’uno dall’altro.
Leaves and Roots è un disco tutto sommato adolescenziale, i pezzi sono più vari, sia in positivo che in negativo, i pezzi allegri sono più allegri di quelli che scrivo adesso e lo stesso vale per quelli tristi.
Stories corrisponde ad un periodo dove avevo toccato il fondo, c’è più sofferenza, le tematiche sono decisamente tristi, iniziavo a sviluppare una maturità che penso di aver messo nei testi di Painless, che mi contraddistingue adesso come essere umano. Le nostre sofferenze non sono paragonabili a chi nasce in altre parti del mondo e deve sopravvivere ogni giorno, però c’è comunque della sofferenza nel nostro mondo di ragazzi occidentali, che nasce dal senso di inadeguatezza, di non sapere quale sia il punto di arrivo, cosi si va a fare. In Painless però, cerco di ribaltare in positivo tutte queste cose. Forse è un disco più spirituale degli altri.
Forse non è un caso che il disco si apra e si chiuda con due canzoni che nel titolo hanno Jah…
È una fortunata coincidenza, che però rispecchia bene la spiritualità che c’è nel disco.
C’è stata un’evoluzione nel tuo modo di suonare, dal primo album, che pur essendo folk incorporava elementi diversi, che a tratti possono sembrare brasiliani, forse jazz, a Stories dove hai voluto sperimentare in una direzione diversa, incorporando altri strumenti, fino a Painless, che invece rispecchia di più il linguaggio classico del folk.
Penso sia dovuto al fatto che nel primo album avevo un sacco di influenze diverse ma non sapevo come digerirle. Nel momento in cui ascoltavo bossa nova la rielaboravo solamente come bossa nova, senza riuscire a trasformarla in qualcosa di mio. In Painless penso di essere riuscito a compiere questa evoluzione, si possono sentire degli interventi che fanno pensare al reggae, forse nell’effettistica, ma sono influenze più digerite delle altre volte.
Qual è il messaggio che vuoi trasmettere con Painless?
Direi che il messaggio è quello di non arrendersi, di cercare anche nelle difficoltà di andare avanti, di cercare uno sviluppo positivo per la propria vita. Il messaggio è composto di varie riflessioni, che possono essere simpatiche con in Sweets of Helsinki, che parte da dal racconto di questa caramella dal sapore orribile, ma che è legata al ricordo bellissimo della Finlandia.
In Southern Hills c’è una visione romantica della brevità della vita messa a confronto con i tempi delle geologia.
Forse il tema più importante che ho esplorato in molte canzoni (Sorcerer, His Father, Writing Back Home), è la necessità del mutuo soccorso tra amici. Non ho scritto canzoni d’amore in questo disco, ho voluto astrarre questo sentimento, portandolo ad un livello più universale, non mi rivolgo ad un persona in particolare, ma a tutti. I testi possono partire da un’esperienza personale, ma non sono mai dedicate a qualcuno in particolare. Quello che cerco di trasmettere in queste canzoni è il fatto che l’aiutarsi a vicenda è l’unico modo per uscire dalla sensazione di inadeguatezza, di insoddisfazione, che è la sofferenza di noi ragazzi occidentali, se vuoi dovuta alla mancanza di ideali, di direzione.

Foto di Mattia Balsamini
C’era la volontà di trattare questi argomenti o è una riflessione che hai fatto una volta concluso l’album?
In realtà non è un concept album, non ho evidenziato una tematica attorno alla quale sviluppare le canzoni. Alcuni pezzi sono estratti da un esperimento di un concept album in cui parlavo della Finlandia e quindi del viaggio, per esempio Wings parla degli aerei, in Writing Back Home è come se scrivessi una cartolina a casa durante un viaggio, Sweets of Helsinki parla della Finlandia, anche se in modo astratto. Sono tematiche diverse ma tutte ispirate alla mia presenza in terra straniera, ma che si incastrano molto bene in un contesto di positività ragionata, che contraddistingue l’album.
Nell’album non ci sono più pezzi strumentali.
In fase di lavorazione ce n’erano un paio, ma ho dovuto lasciarli fuori. Concentrandomi sulla voce non ho sviluppato arrangiamenti di chitarra soddisfacenti e che potessero vivere di vita propria. Inoltre avrebbero alterato l’atmosfera del disco.
Anche il lavoro per il packaging è stato interessante, chi hai voluto coinvolgere in questo aspetto del disco?
Ho voluto lavorare solo con locals. Mattia Balsamini ha curato le illustrazioni fotografiche dei pezzi, mia sorella invece si è occupata delle grafiche e Anna Paola Martin del teaser. Insieme abbiamo organizzato un servizio fotografico in Val Rosanda, che si trova dietro Trieste, realizzando sia le foto che il video.
Ora inizierà il tour
Ho già un sacco di date. Per questo tour mi sono affidato alla Tempesta Concerti, ma il mio agente è Simone Zaccaron. L’ho conosciuto all’università ed è uno dei pochi che, pur suonando, ha sempre manifestato il suo desiderio di voler fare l’agente, di voler vendere concerti. Sono molto contento del suo lavoro, ha talento, è sempre riuscito a piazzarmi nei concerti giusti, nei posti giusti.
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Qualcuno ha chiesto link utili?!??! Ecco qui tutti i link ufficiali di The Sleeping Tree.
web: www.thesleepingtree.com
facebook: www.facebook.com/thesleepingtree
myspace: www.myspace.com/thesleepingtree
bandcamp: http://thesleepingtree.bandcamp.com
twitter: http://twitter.com/tstmuzik
Qui il sito de la Tempesta International
www.latempesta.org/international/
Vi è piaciuta questa intervista? Allora potete approfondire con l’intervista precedente a The Sleeping Tree e con quella a Paolo Baldini.