Parliamo ancora una volta di Animazione e parliamo ancora una volta di cervelli in fuga. Mauro Carraro è un animatore di Montereale che ha trovato in Svizzera l’ambiente ideale per vivere della sua passione. I suoi cortometraggi hanno fatto il giro del mondo con i Festival e il giro della rete tramite Vimeo, che li ha premiati inserendoli negli Staff Picks. Tra poco uscirà il suo ultimo lavoro, intitolato “Hasta Santiago”, nel quale, già dalle poche immagini che vi mostriamo, si può vedere come Mauro abbia raggiunto la maturità artistica nella sua ricerca verso il 3D sensibile, ossia la riproduzione della carta con i mezzi moderni di rendering.
Abbiamo incontrato Mauro a Montereale, per conoscerlo e cercare di capire perché l’Italia non è il posto adatto per vivere di animazione.
Una precisazione per evitare confusione nella lettura. CGI significa Computer-Generated Imagery, cioè qualsiasi immagine generata digitalmente con il computer. 2D e 3D, invece, distinguono due categorie di CGI ed indicano la differenza tra la modellazione che sfrutta uno spazio tridimensionale o meno. Nel testo utilizziamo CGI e 3D per indicare la stessa cosa, che non ha niente a che vedere con lo stereoscopico, ossia il 3D con gli occhialini del cinema.

Mauro Carraro – foto di Alessandro Venier
Quando è nata la passione per l’animazione?
É stato un processo molto lungo. Io ho studiato Visual Design al Politecnico di Milano. Come tesi del triennio potevamo scegliere di realizzare un video di animazione, con la tecnica che volevamo. Però per caso avevo iniziato a fare CGI, perché avevo frequentato per sbaglio un corso di 3D. Al corso ero andato bene e mi avevano consigliato di continuare.
Il mio professore dell’epoca, che si chiama Filippo Casale, insegnava anche un Master a Torino e mi ha proposto di seguirlo. Ho frequentato questo Master, che era tecnicamente molto avanzato, e lì ho cominciato a capire come funzionano le cose in Italia. A fine anno dovevamo realizzare un cortometraggio ed ognuno doveva proporre la propria storia. Alla fine però è stata scelta quella del Direttore della scuola, perché era una cosa che serviva a lui. Nella stessa struttura della scuola c’era anche uno Studio che stava producendo un lungometraggio che si chiamava “Donkey Xote”. Molte persone uscite dall’università finivano a lavorare in questo studio, che era piuttosto grande. Un giorno vado in Università e vedo della gente incatenata alla cancellata della scuola: erano tutti fornitori, mai stati pagati. Lo Studio non aveva mai pagato l’elettricità né i lavoratori stessi. Mi sono detto, se è così che funziona l’Italia è meglio andarsene da un’altra parte.
Poi, al Torino Film Festival, ho visto per la prima volta un video di animazione CGI della Supinfocom di Arles, in Francia. Era un lavoro fantastico, si chiamava “90 degrees”. Mi sono iscritto alla scuola e sono stato lì altri 4 anni.
Tra una scuola e l’altra hai passato 8 anni da universitario. Come mai hai scelto di investire così tanto tempo nella scuola?
La Supinfocom ha una buona reputazione. Tanti studenti entrano a 17 anni, senza un’identità precisa, e corrono il rischio di essere formattati dalla scuola. Se hai già un tuo background, però, è un ottimo trampolino di lancio. Ti lascia veramente il tempo per sperimentare e trovare il tuo stile. Io mi sono detto che altri 4 anni valeva la pena spenderli, anche se a 25 anni sei un po’ stanchino. Non stai più a lavorare fino alle 4 e poi la mattina sei fresco come una rosa.
Ci sono degli artisti che ti hanno ispirato?
Ci sono dei personaggi che stimo, non soltanto per cosa fanno artisticamente, ma come persone. Uno è certamente Davide Toffolo, che è la prima grande fonte di ispirazione. Musicista, fumettista, animatore, è un personaggio che non si ripete mai. Poi vive qua, per me, che abitavo a Montereale, era un’icona. Un’altra fonte di ispirazione era Paolo Cossi, che realizza fumetti e con cui sono amico.
All’estero ci sono altri personaggi più famosi. A New York c’è Bill Plymton, che è il capo delle animazioni indipendenti degli Stati Uniti. Due anni fa l’ho conosciuto di persona. Un giorno (il 1° aprile) mi chiama e mi dice che voleva proiettare un mio film al suo Festival. Io ero convinto fosse un pesce d’aprile, invece mi aveva chiamato veramente lui. Un’altra animatrice che ammiro è Anita Killi, che vive in Norvegia in una fattoria sperduta, dove realizza i suoi corti animati, gestendo nel frattempo una fattoria ed i suoi tre bambini.
La vera ispirazione è vedere come la gente riesca a vivere di questo mestiere, capire com’è essere in armonia con il proprio lavoro.
Non vivi più in Italia da un po’ di anni. Qual’è la differenza tra i paesi che hai visitato?
I francesi sono i veterani dell’animazione. Hanno la Gobelins, una scuola che ha più di 40 anni. C’è la Supinfocom, che ne ha 25, più una serie sterminata di scuole private. Questo già nel lato scolastico. In Francia però gli studenti tendono ad emulare lo Studio invece che i singoli animatori. Lo Studio, come la Pixar, non è una persona fisica, sono 300 persone che si uniformano tra di loro per avere uno stile che possa funzionare dalla Cina all’Italia; tutte queste manine sono talentuose, però lo Studio le uniforma per un prodotto. In Russia, invece, non è così. L’ho visitata l’anno scorso, gli studenti si ispirano a dei maestri, persone fisiche con la loro ricerca, il loro stile.
Fare film di animazione vuol dire avere degli investimenti dalle Regioni, dagli Uffici per la Cultura o altre strutture. In Francia ogni regione ha un budget per la cultura molto alto. In più c’è il Centro Nazionale della Cinematografia, che dà la maggior parte delle sovvenzioni. Per fare film di animazioni ci vogliono dei fondi; farli da appassionati nei week-end vuol dire impiegare dieci anni. In Francia il cinema d’animazione è considerato un’industria.
Mi sono spostato in Svizzera perché è meno competitiva. C’è meno gente che chiede le sovvenzioni, però più soldi in relazione alla Francia. Andare in Svizzera con la formazione francese rende più facile avere un prodotto valido e competitivo, mentre in Francia è dura, perché ci sono tanti artisti veramente dotati.
I tuoi lavori sono stilisticamente francesi, però ti ispiri molto alla cultura spagnola. Come mai?
Molti me lo chiedono. Nel Sud della Francia c’è una forte cultura ispanica. Ad Arles, per esempio, c’è la Corrida. Mi ci hanno portato e sono rimasto scioccato. Vedere una Corrida è una cosa incredibile, perché c’è colore, ritmo, musica… morte se vuoi. Sei allo stesso tempo meravigliato e scioccato. Cos’è un’animazione se non colore, ritmo e musica? Quindi mi sono detto che era un tema perfetto per fare un corto.
“Matatoro” è il mio film di fine studio. É stato realizzato in 3D, con colori acquarello ed in 8 o 12fps (n.d.r. frame al secondo, solitamente per il cinema sono 24). Era la prima volta che ci siamo sbilanciati in questo modo e all’inizio siamo stati criticati per la scelta. Realizzarlo a 24fps era impossibile, era un bombardamento di texture. Sembrava un’esplosione più che un cartone. Abbiamo trovato questo compromesso, che fa sembrare le immagini del corto quasi dei quadri animati, a volte molto scattosi. Nella equipe eravamo in tre; il nostro animatore non lo era per formazione ma s’è dovuto improvvisare, quindi è migliorato lentamente nel processo. Infatti verso la fine “Matatoro” è molto più fluido.
Ci parli un po’ di “Muzorama”?
“Muzorama” era il pilota di una serie chiamata “Laboratorio di Immagine”, una produzione di CANAL +, in Francia. Fino all’anno scorso di questi corti ne hanno fatti 24. Ogni corto è basato sull’universo grafico di un illustratore, nel nostro caso Muzo, che viene dalle banlieue parigine e lavora molto per i giornali. Dai suoi disegni abbiamo inventato una storia. Muzorama vuol dire “la versione di Muzo”. Negli anni successivi i corti di questa serie si sono affinati molto. Sono stati seguiti più più da vicino dagli illustratori. Nel nostro caso, Muzo lo abbiamo incontrato il primo e l’ultimo giorno. Però si è persa un po’ la pazzia; Muzorama è stato così irrazionale, l’abbiamo pensato così poco, che è venuto come dovrebbe essere un’opera d’arte, cioè non troppo riflettuta. Io ho curato soprattutto il trattamento grafico, le immagini e i colori.
Sembra animazione classica. La mia ricerca va verso quello che si chiama il “render non fotoralistico”, che io chiamo “3D sensibile”, nel senso che assomiglia di più all’universo dell’acquarello, cerca di riprodurre la carta invece che la realtà. Tutto questo con i vantaggi del CGI, quindi le telecamere 3D, ecc. Tutto è digitale, algoritmi, shaders, materiali reinventati in 3D Studio Max e poi mescolati in After Effects.
In “Hasta Santiago”, il progetto che sto finendo ora, ho ucciso tutte le telecamere 3D e faccio solo della parallasse in After Effects. I movimenti di camera digitali o li sfrutti al massimo o li elimini completamente. C’è corto di un mio amico, che si chiama “Madagascar, Carnet de Voyage”, ispirato ad un libro di disegni fatto durante una vacanza, però animato. Lui sfrutta veramente il volume del 3D. Io invece sono andato nella direzione opposta, cercando di togliere il 3D.
Ci racconti qualcosa del tuo ultimo lavoro?
Prima di iniziare a lavorare a “Matatoro” avevo due mesi di vacanza d’estate. Ero stufo di stare seduto davanti al computer, il cammino di Santiago passava proprio sotto casa mia, ad Arles, quindi mi sono detto “parto e vado fino a Compostela”. Ho fatto lo zaino e mi sono messo a camminare per due mesi, fino a Santiago, per 1600 chilometri. Questo cortometraggio racconta non tanto la mia esperienza, perché io sono più il vettore della storia nel senso che ci si sposta con me, ma racconta le storie delle persone che ho incrociato. Sono dei ritratti di personaggi assurde e paradossali che si possono incontrare. C’è gente che vive nel cammino, o che va in bicicletta fino a Gerusalemme, o che ancora si flagella. Ho conosciuto un ragazzo che girava con uno zaino enorme con dentro le sue pentole e attrezzi da cucina, formaggi e salami. Faceva il cuoco pellegrino, cucinava negli alberghi in cambio di ospitalità. Ho conosciuto un broker Finlandese che ha perso la memoria a breve termine a causa di un ictus e l’unico modo che ha per sentirsi bene è partire ogni anno per Compostela. Lui faceva foto a qualsiasi cosa, perché sapeva che si sarebbe dimenticato tutto il giorno dopo.
Durante il cammino, all’inizio sei molto concentrato su te stesso, poi intraprendi un progressivo cambio di scala, sei un puntino in un grande ambiente. Entri in uno stato metafisico incredibile. Il film rispecchia questo processo.
Com’è stata la lavorazione?
Ho iniziato la produzione del film a gennaio 2012. Subito dopo la laurea, dei produttori, che stavano facendo un lungometraggio sul fumettista Belga Jung Sik-Jun, mi hanno chiesto di curare la parte in 3D del film. “Couleur du peau: Miel” racconta la storia di questo fumettista, che è di origine coreana ma è stato adottato negli anni ’70; nello stesso tempo lo si vede che torna in Corea per la prima volta. É un film ibrido tra Live Action, 2D, 3D e Super8 dell’epoca. É stato un lavorone, durato un anni e mezzo. Finito questo, mi sono subito lanciato su “Hasta Santiago”.
Per i primi 5 mesi ho lavorato da solo alla modellazione dei personaggi e con una stagista per fare l’animatics 3D (n.d.r. storyboard animato). Fatto questo, si è aggiunto un animatore che ha seguito il grosso dell’animazione, un altro stagista per le texture, poi altri tre animatori per la botta finale di rendering. Io in pratica ho coordinato i lavori, ho fatto la modellazione e poi il rendering e il compositing. Uscirà agli inizi di Maggio.
Hai già dei progetti per il futuro?
Ho due corti in cantiere. Il Festival di Annecy, il più grande per l’animazione, ogni anno fa un concorso per i dossier di film. Tu proponi un progetto e, se lo trovano valido, ti danno delle sovvenzioni. L’anno scorso ho mandato “Aubade” e mi hanno preso. Lo produrrà la Nadasdy Film, casa di produzione svizzera, e Les Films des 3 Marches, che invece è di Avignone. Quindi tra due mesi inizio questo nuovo progetto, più o meno con la stessa tecnica.
Nel frattempo ho pensato ad un altro corto per il 2014, che sarà intitolato “Acqua Alta”. É una critica sul problema delle grandi navi che transitano nella laguna di Venezia. Sarà una commedia musicale ambientata all’epoca dei dogi.
Ci consigli un cortometraggio?
Nel mio stesso studio siamo in tre che facciamo animazioni,
Marcel Barelli è un ticinese che si interessa all’ecologia. Ha realizzato un corto sulla storia del Cipaetro, che è un grande uccello saprofago che si pensava uccidesse le persone e rapisse bambini. Lui ha preso a cuore la storia di questo animale, quindi ha voluto screditare alcune leggende. Poi ha fatto un film che si chiama “Vigia”, che vuol dire “ape” in dialetto ticinese. L’Ape si sta estinguendo, però è fondamentale per il nostro ecosistema, quindi se muore siamo fottuti.
Poi c’è Bastien Dubois, il mio amico di “Madagascar, Carnet de Voyage”, che è stato nominato agli Oscar nel 2011. Quest’anno esce con una serie interessantissima sul canale ARTE che si chiama “Portraits de Voyage”, basato su delle testimonianze di gente in ogni posto del mondo, fatto in Mocap (n.d.r. motion capture) e poi in 3D, effetto acquarellato, molto interessante. Lui è un maestro.
Alcuni screenshots di “Hasta Santiago”, l’ultimo cortometraggio di Mauro Carraro
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Come al soluto un po’ di link utili
- Il Sito Ufficiale di Mauro Carraro http://www.mapo-mapos.com/
- Il sito dei “Couleur du peau: Miel” http://www.couleurdepeaumiel-lefilm.com/
- Il sito della SUPINFOCOM, la scuola di animazione di Arles http://www.supinfocom-arles.fr/
- Il sito di Bill Plympton http://www.plymptoons.com/