Questa intervista è rimasta in sospeso per molto tempo. L’avevamo registrata a giugno, a Gorizia. É rimasta in sospeso per due motivi. Primo, non è propriamente un’intervista; visto che non prevedevamo di avere il sito rinnovato e nuovamente operativo in tempi brevi, volevamo fare un’intervista che potesse andare bene anche a mesi di distanza dall’uscita del disco di Scuola Furano. Abbiamo affrontato la cosa in maniera più informale, come se fosse una chiacchierata tra amici. E come tutte le chiacchierate tra amici non è stata una cosa ben strutturata, gli argomenti toccati sfumavano l’uno nell’altro.
Il secondo motivo per cui la gestazione è stata cosi lunga è che avevo bisogno di un filo conduttore per legare il tutto. Sono riuscito a trovarlo grazie a due interviste fatte recentemente, quella con Remo Anzovino e quella, ancora da pubblicare, a Drooid e Cisa. Cosi ho deciso di rifare tutto da capo.
Ho capito che abbiamo parlato principalmente di luoghi. Del legame con questa parte di mondo, delle storie di questi posti. Dei vantaggi e svantaggi di rimanere e dei vantaggi e svantaggi di andarsene; di come sono le cose qui e di come invece sono altrove.
Non si è parlato solo di questo ovviamente: si è parlato anche di musica, serie tv, del confine, dei rapporti tra le comunità italiana e slovena e di qualche ricordo di infanzia.
C’è da fare un’altra premessa fondamentale: a Gorizia il confine passa in mezzo alla città. Per capirci, se prendo la bicicletta e sbaglio strada, c’è il forte rischio che mi ritrovi in Slovenia; il confine è in città. A Trieste bisogna prendere l’auto per andare oltre confine; a Gorizia si può andare in Slovenia a piedi. Potrà sembrare una cosa scontata per molti che magari conoscono queste zone, però non lo è. Anche per me, che vivo ad un’ora di auto da Gorizia, il confine in mezzo alla città, le storie che si porta dietro, non sono situazioni ovvie, familiari.
Ora, il titolo che darei a tutto questo è Il punto di vista di Borut, ma in realtà tutti lo conoscono come Scuola Furano. Ad ogni modo vorrei dare questo titolo per un motivo preciso: ognuno di noi ha la sua base, il punto da cui guarda le cose. Da questa tracciamo un ipotetico raggio e costruiamo il cerchio che ne deriva. Questo è un po’ il nostro territorio, dove ci muoviamo per motivi di lavoro, divertimento, parenti, morose/morosi e quant’altro. La particolarità di Borut è che il suo cerchio è diviso a metà dal confine. Un’altra particolarità è che questo suo cerchio non è localizzato interamente qui, tra Italia e Slovenia, ma, grazie alla sua musica, è sparso nel resto d’Italia e in Europa.

Scuola Furano fotografato da Mattia Balsamini
Comincia con un aperitivo questa lunga chiacchierata. L’aperitivo è il fondamento comune dell’identità del nord est. Non l’happy hour, quello si fa a Milano. Da noi si fa aperitivo, con lo spritz. E a volte si beve e basta e non si cena.
Ci eravamo trovati in piazza Vittoria a Gorizia e, vista l’ora propizia, avevamo subito deciso di affrontare l’intervista bevendo qualcosa. Borut, meglio noto come Scuola Furano, ci porta in uno dei suoi posti preferiti, uno scorcio veneto che rivela una delle tre identità di questa città. Iniziamo a bere na roba e a chiacchierare. Non ricordo di preciso come siamo arrivati a questo discorso, probabilmente il nome del nostro sito porta naturalmente ad affrontarlo.
“Gorizia è un posto strano, la gente è divisa in due fazioni. O è un posto di merda, o è una bomba. La verità sta nel mezzo. Se mi dici che Gorizia è una bomba, ti fai le tue seratine qui, sei un po’ conosciuto, però non hai mai visto nient’altro, allora ti dico di no, che Gorizia non è una bomba, c’è poco da essere contenti. Però ci sono anche molte cose particolari. Fai 100 metri e cambi atmosfera. Ci sono scorci veneti come questo, asburgici, come piazza Vittoria, giri ancora l’angolo e trovi il socialismo, con i suoi palazzoni anonimi e tristi. Bisogna conoscerla per apprezzarla, però non è cosi rognoso vivere qui.”
Ma hai deciso di vivere qui?
No, non ho deciso di vivere qui. Sono legato a questo posto per via del negozio (tabacchino) dei miei, dove lavoro. In questo momento non posso prendere e andarmene. Tutto sommato mi piace vivere in Italia da artista. L’Italia è un paese bellissimo, ci mangi da dio ed ha mille sfaccettature. Però la gente è terribilmente provinciale. É imbarazzante quanto anche la capitale di riferimento, che può essere Milano, lo sia in realtà tremendamente. Preferisco essere un provinciale vero, che vive in provincia, e che però spacca quando va in giro. Se uno abita a Londra, ogni giorno può ascoltare cose nuove, fresh, sul pezzo, (ride) termine che mi piace un sacco. A Milano hanno la stessa pretesa ma non si rendono conto che in realtà fanno riferimento a cose che sono vecchie almeno di 6 mesi. C’è la pretesa di essere cool, avanti, quando poi un nerd come me, che passa le serate su boiler room ne sa di più. Ecco, vivere a Milano non mi dice nulla. Preferirei vivere a Venezia, che è decentrata ma ben collegata ed è una città molto freak, che mi piace molto. Ho avuto la fortuna di fare un giro in barca con Spiller, e scopri un’altra città. Da questa prospettiva i canali sono come dei viali di una grande città, Venezia si apre e non è più fatta di calli anguste.
Certo, qualcosa stando qui te lo perdi. Non ho la fortuna di vedere dj set importanti, come nell’esempio londinese di prima. Però quando hai l’occasione di assistere ad un evento importante, di vedere un dj che ammiri da tempo, lo apprezzi ancora di più.
Ogni volta che vengo a Gorizia mi raccontano un po’ di storie di quando c’era il confine. Che ricordi hai di quegli anni?
Mi ricordo che avevamo un libricino, chiamato propusnica. Ti permetteva di passare i valichi, anche quelli di seconda e terza categoria [valichi di strade secondarie o agricole, ndr], evitando un po’ di formalità. In famiglia lo avevamo tutti, devo averlo ancora a casa, ma chissà dov’è finito.
Qualche tempo fa ripensavo con alcuni amici alla Jugoslavia. La Jugoslavia c’è stata fino ai miei 15 anni. Lo vedevamo come un mondo tranquillo, povero ma più genuino. Il sistema socialista tendeva a ricreare quello che c’era in occidente, come nel film “Goodbye Lenin”. Adesso tutti i loro strani prodotti sono stati sostituiti dai nostri. Qui è stato lampante l’effetto della globalizzazione, del progresso, ammesso che lo sia sempre in questi casi. Ricordo che una volta c’era la Cockta, la versione socialista della Coca-Cola. Praticamente un Montenegro analcolico frizzante. Era una schifezza! Ma a parte il gusto personale, tutte queste cose sono andate perse. Tutto sostituito dai prodotti occidentali.
Quando è stato tolto il confine, con l’entrata della Slovenia nell’Unione Europea, stavo suonando in un’altra città. I miei amici erano qui ad assistere alla cerimonia e mi dicevano che mi ero perso un’atmosfera “berlinese”. Ci hanno romanzato molto, ma qui non è mai stato come a Berlino. Berlino era un caso unico. Li la gente fuggiva nei cunicoli o nascosta nelle Trabant. Qui invece si poteva passare il confine, non c’era nessun muro. All’inizio c’era un po’ di tensione, ma niente a confronto della Germania.
E come sono i rapporti tra le due comunità?
I rapporti tra i ragazzi delle due comunità sono strani. Una volta tutti parlavano italiano, sia perché gli serviva quando venivano di qua per comprare roba, sia perché tutti i ragazzini guardavano la tv italiana che trasmetteva i cartoni animati. Quindi con le gente che ha 30 anni o più si parla italiano. Con i ragazzi di 18 anni invece parlo in inglese. A me non cambia nulla, però questa chiusura sulle lingue è una perdita da parte di entrambe le comunità. Nelle scuole della minoranza slovena si fa poco italiano e male. Fosse per me, farei studiare entrambe le lingue nelle scuole vicine al confine. A noi si aprirebbe tutto l’est, è un gran vantaggio imparare da piccoli una lingua slava.
Ci sono due fazioni, quelli che negano che le due Gorizie abbiano qualcosa in comune e quelli che invece vedono tutto uguale. Di nuovo la verità sta nel mezzo: ci sono elementi in comune notevoli, ma anche grandi differenze. Abbiamo background diversi. Difficilmente si fanno le cose insieme.
A me non interessa la polemica, non appartengo a nessuna delle due fazioni. Se ho bisogno di qualcosa la faccio volentieri di là [in Slovenia, ndr]. C’è questo baretto, il Bar Porto. Divanetti fuori, dentro un buco. Le pareti sono decorate con dipinti della villa di Tito e altre immagini della costa istriana. Al piano di sotto c’è un’altra stanzetta, sarà sei metri per quattro, con i divani zebrati della vecchia gestione e, alle pareti, degli acquari rotti. Tutta la stanza è decorata come se fosse il fondo del mare. In Sloveno di dice “domace”, casereccio. In questo posto un po’ sgangherato abbiamo organizzato dei gran festoni, molto “domace”, organizzati un giorno per l’altro. Gran bevute, gran divertimento e tutti contenti!

Scuola Furano fotografato da Mattia Balsamini
Ma com’è la scena di là?
Se metti a confronto le due realtà, vedi che in Slovenia sono un po’ indietro. Il che è tutto dire! Vedi, anche prima, quando passeggiavamo appena oltre il confine, abbiamo visto la gente in roller; anche gli stili delle pettinature sono di 10 anni fa! Molto miei amici sono entusiasti di Lubljana, che con la nuova autostrada è a un’ora da qui. Ci sono andato un po’ di volte. C’è un atmosfera cupissima, tra gli anni ’80 e i ’90, molto industrial, da controcultura dell’ex blocco sovietico. Oppure, adesso che si sono occidentalizzati, trovi delle tamarrate incredibili.
Un mercoledì, con FontFace, siamo andati alla serata hip-hop in un locale che potenzialmente è una bomba atomica, in cima ad un palazzo altissimo. Serata cafonissima, pieno di tipe con quello stile dell’est… Tipi che facevano i duri, altri sfigatissimi come quello del video “Pretty fly for a white guy” degli Offspring.
Però, tolti questi episodi di folklore, localizzati spesso a Nova Gorica che non e’ la capitale, Lubljana e la Slovenia stessa sono comunque paesi giovani, “fresh”, con voglia di fare e tanta cultura e una facilita’ di movimento che noi ci sognamo e spesso dovremmo imparare da loro, confrontarci. Per tanta gente “del confine” loro sono solo “sciavi”. Continuiamo cosi’, facciamoci del male.
È arrivato anche il momento di parlare un po’ di musica… Sono passati otto anni dal disco precedente…
Qualche tempo fa mi hanno detto una cosa. Che Gorizia ha tre anime, quella austriaca, ligia al dovere e rispettosa delle regole; quella friulana, che non si tira indietro, lavora, sempre pronta ad aiutare; quella slovena, che si porta dietro una sorta di malinconia, di inquietudine, che ribolle lentamente, come un goulash. Quando me lo hanno detto ho avuto i brividi. Ho fatto un disco otto anni fa e adesso ne faccio un altro perché in questi anni sono stato a rimuginare se era giusto quello che facevo o se non lo era, se andava fatto o non andava fatto, cosa fare e cosa non fare. Per fortuna ha avuto un buon successo di critica e questo mi mette il cuore in pace.
Come sono nate le collaborazioni con i cantanti?
Cercavo dei cantanti madrelingua in modo da superare altre limitazioni del primo album.
Fiorius l’ho conosciuto tramite Marco Piano. Ci siamo trovati subito, soprattuto come gusti. Gli ho passato le prime basi e mi ha subito risposto con il cantato. La collaborazione è stata molto veloce e prolifica e tuttora stiamo collaborando al suo album.
Visto che ho la fissa del cantato in inglese, ma caratterizzato da un forte accento francese, ho cercato di inserirlo nel disco. Dopo aver visto un video degli Jolie Cherie su Youtube, li ho contattati mandandogli una base. Mi hanno risposto subito. Sfortuna ha voluto che avessi mandato la stessa base anche a Xander Ferreira e che mi avesse risposto. Quindi ho deciso di creare un pezzo nuovo sul cantato degli Jolie Cherie, loro non avevano problemi al riguardo e la cosa ha funzionato molto bene.
Kelly è un ragazzo di Trieste. Parlando con Color, ci siamo resi conto che mancava un pezzo lento, di decompressione. Gli ho fatto sentire quello che avevo ma non convinceva. Dovevo andare ad una serata e ho deciso di andarci in treno in modo da poter lavorare sul brano nuovo. Color aveva deciso di chiamare questo ragazzo, per registrare il basso e alcune parti di chiatarra. Hanno provato anche a buttare giù qualche vocal, la cosa mi piaceva e gli ho lasciato carta bianca.
Com’è stato lavorare con Dj Color?
Abbiamo lavorato molto bene. Un punto fondamentale di questo album è che lo volevo mixato bene. Il primo album era stato mixato in studio ma il risultato non mi soddisfaceva. Avevamo già lavorato su alcune cose insieme ed è stato piuttosto naturale affidargli il mix dell’album.
Al contrario di me, Color è molto tecnico. Insieme abbiamo scremato i demo. Mi ha aiutato molto, perché fa dei ragionamenti “matematici”, molto scientifici, che arrivati ad un certo livello sono necessari per ottenere un buon disco. La sua collaborazione mi ha permesso di dare più corpo ai brani. Tutto questo lavoro ha ripagato. Vorrei che di pari passo con il successo dell’album questo portasse un buon feedback a Color come produttore, che sicuramente se lo merita.
Quindi artisticamente la collaborazione ha funzionato. Ma tra di voi è ha sempre fuzionato tutto alla perfezione?
Quando si lavora insieme c’è sempre una certa probabilità di trovarsi a discutere o a litigare. É successo anche a noi, non per questioni artistiche o di produzione, ma per l’intromissione di altre persone, che avevano fatto intravedere grandi opportunità, che non si sono realizzate. Questo mi ha messo in crisi, non sapevo più cosa fare. Durante questa fase non ci siamo parlati molto Color ed io, quindi ci siamo irrigiditi. Abbiamo litigato, ma più che altro perché non ci eravamo detti alcune cose, dovevamo chiarirci. Dopo abbiamo ripreso a collaborare.
Prima dell’uscita di questo disco hai cambiato etichetta. A cosa è dovuta questa scelta?
Non è una cosa bella da dire, ma oggi nella musica ci sono degli investimenti monetari da fare per garantire al tuo lavoro una certa visibilità. Ho fatto molti sacrifici per finire questo secondo disco, ho rinunciato a molte cose, per un periodo sono tornato a vivere a casa dei miei. Visto il mio investimento nel progetto, ho posto alcune condizioni alla mia vecchia etichetta. Non riuscivano a garantire tutto quello di cui sentivo di aver bisogno. Mi sono confrontato con amici e altre persone dell’ambiente prima di prendere una decisione. Non è stata una scelta facile, ma alla fine ho deciso di passare sotto la Nano Rec, che invece era in grado di soddisfare le mie richieste. Sono contento del passaggio, con Spiller mi trovo bene, è molto competente e avevo già collaborato con la sua etichetta.
La registrazione dell’intervista si è interrotta qui, dopo quasi sei ore il registratore si era scaricato. Abbiamo continuato a chiacchierare per un po’, parlando di musica in generale, di come si sia evoluta la musica, della situazione attuale, di cosa ci piace e delle nostre ispirazioni. In queste ore passate a Gorizia abbiamo scoperto angoli nuovi della città, passato il confine, mangiato il burek in Slovenia nel boulevard dei fast food (nome inventato da Borut), ritornati in Italia, bevuto ancora birrette e parlato di un milione di cose. Quello che avete letto è ovviamente una selezione. Abbiamo parlato del mare istriano, di Lignano, di Piancavallo, di Bassano del Grappa, di storie dell’orrore nostrane e di film. Ma la cosa che più avrei voluto inserire nell’intervista è la discussione nata attorno ad una puntata di Futurama, precisamente il settimo episodio della quarta stagione, che consiglio a tutti di guardare.
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Come al solito vi diamo qualche link utile
- La nostra precedente intervista a Borut.
- Qui il sito di Scuola Furano www.scuolafurano.com e il suo soundcloud.
- L’etichetta di Spiller, la Nano Rec.
E ora il video di On Fire!