H.C. Rebel, testimone dall’alba dell’Hip Hop

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Tutti noi proviamo strade diverse durante l’adolescenza, prima di trovare una nostra collocazione nella cultura. È stato così anche per me, intorno alla prima metà dei 2000 sono entrato a far parte della comunità Hip Hop del Nord Italia come Scratch Dj, una disciplina che continua ad affascinarmi, come penso affascini molti.

L’ambiente Hip Hop italiano è sempre stato particolare. È una nicchia molto facile da penetrare, ma dove è difficile imporsi. Ci sono molti interessi prestabiliti e zizzanie tra i gruppi; per questo è un ambiente soffocante, a volte meschino e difficile da gestire. Come tanti altri, l’ho presto abbandonato, insieme alla passione per il Turntablism. Alcune cose di quel periodo però mi sono rimaste.

Nella mia breve permanenza nell’ambiente, mi sono scontrato con la leggenda di H.C. Rebel. H.C. come Hard Core, è uno dei primi Dj, o Turntablist, come preferisce lui, ad essere attivo nella scena italiana. Su di lui circolano molte leggende curiose, alcune di fantasia, come quella degli inizi di Dj Gruff, che si racconta abbia cominciato dopo aver toccato per la prima volta i piatti di Rebel; altre vere, come quella della sua Alfa bianca con le gigantesche scritte H.C. Rebel e SL-1200 MK2 sui lati.

Ricordo di essere andato insieme a Rebel ad una Jam a Conegliano, molti anni fa. Suonavano i Micromala, un gruppo di Treviso all’epoca abbastanza conosciuto. A fine concerto Neko (oggi Nex Cassel), uno del gruppo, ci aveva raggiunti e si era messo a fare domande a Rebel sulla sua macchina, sulle sue cose, come un bambino che incontra il suo idolo. Dopo aver smesso di parlare, Rebel si gira verso di me e mi chiede “O ma chi è sto qua?”.

Abbiamo passato un pomeriggio a parlare degli inizi dell’Hip Hop italiano e della sua storia. Da qua in poi è tutto un po’ più Hard Core.

HC Rebel, testimone dall'alba dell'Hip Hop

HC Rebel, testimone dall’alba dell’Hip Hop – grafiche di Federico Manias

Quando è nata la passione per l’Hip Hop?

Ho cominciato a ballare la Break Dance a 13 anni. Abitavo in un paese abbastanza sperduto, quindi il mezzo per informarsi era principalmente la televisione. Un giorno mio fratello è venuto a chiamarmi in camera per farmi vedere dei ragazzi in TV che si stavano buttando per terra rotolando, io lì sono rimasto folgorato. Stiamo parlando all’incirca del ’84.

Quello era l’inizio del Boom. C’erano dei giornaletti in edicola che ti spiegavano un po’ la break dance, le mosse da seguire, ma non c’era nient’altro per capire come iniziare a ballare. Però con la voglia si riusciva a imparare da soli. A Scuola c’erano altri ragazzi che stavano cominciando e già si vedeva quelli che riuscivano meglio. Nello stesso periodo è scattata la molla del Writing. Sgattaiolavamo la notte dalla finestra con le bombolette per cercare dei muri liberi.

Quando hai iniziato a fare il Dj?

Ho iniziato nel ’88, quando Cash Money vinse i DMC World Championship (i campionati mondiali di Turntablism N.d.R.). Lui quell’anno ha fatto uno spettacolo stupendo che ha voltato la pagina nel Turntablism. È stato il primo a non usare le cuffie, aveva un mixer molto piccolo che gli permetteva di essere più veloce rispetto a quelli che usavano bestie larghe, che ti rallentavano i movimenti, data la distanza tra i piatti.

Anche lì sono rimasto folgorato. Volevo anche io questi piatti, ma non sapevo come si chiamavano. Sono andato da un vicino di casa, che aggiustava attrezzatura elettronica, ed ho cercato di spiegargli più o meno che giradischi volevo. Lui mi ha procurato un Toshiba a cinghia, che è inutilizzabile. L’ho portato a casa, l’ho provato ma vedevo che il disco si fermava e ci metteva troppo tempo a ripartire, quindi non riuscivi a fare niente. Allora sono tornato da lui e alla fine sono riuscito a fargli capire cosa intendevo, e finalmente mi ha portato il 1200 della Technics, che ho ancora. Un’altra cosa simpatica, quando compri il 1200 ti vendono la gomma dove appoggiare il vinile. Io, senza saperlo, l’ho messa sul giradischi e ovviamente non riuscivo a scratchare neanche così perché la gomma bloccava tutto. Solo dopo mi hanno spiegato che dovevo toglierla. Il Mixer ancora non esisteva, collegavo il piatto allo stereo e usavo il volume per tagliare. Poi ho conosciuto Ciso, il Dj del Palladium, che mi ha spiegato un po’ di cose, e pian piano mi sono fatto il mio set up e da lì ho potuto cominciare seriamente.

Una precisazione. La parola Dj non è adatta, quando uno fa Scratch. È un Turntablist, esiste questo nome ed è giusto usarlo, perché poi i termini creano confusione. Il Dj è quello che mette musica in Discoteca o alla Radio.

HC Rebel negli anni '80

HC Rebel in una foto di fine anni ’80

In quegli anni la scena Hip Hop italiana stava nascendo. Com’erano le prime feste, chi erano i frequentatori?

In Italia c’erano tante piccole realtà. Le prime feste di chiamavano Zulu Party (dalla Zulu Nation di Afrika Bambaataa N.d.R.), quando si sentiva parlare di una festa, ci chiamavamo tra di noi e ci spostavamo dovunque la organizzassero, a Firenze, Milano. Il primo Zulu a cui sono stato era a Torino all’Hiroshima Mon Amour e lì ho conosciuto tutti. C’era Dj Gruff dei Sangue Misto, Next One, c’era Crash Kid di Roma, che purtroppo se n’è andato prematuramente. In altri Zulu ho conosciuto Lou X, Kaos. Ci vedevamo tutti in quelle occasioni lì. Era bellissimo, c’era un’aria molto più familiare rispetto alle Jam di dopo.

Poi è cominciata ad esserci tanta competizione. Cominciavano le zizzanie, soprattutto tra gli MC, che litigavano sul modo di rappare e se le dicevano su a vicenda. Queste cose tra Writers e Breakers non sono mai successe, c’è sempre stata molta solidarietà. La sfida è giusta perché stimola a migliorare, però senza rabbia. Le Jam hanno cominciato ad essere fastidiose, quindi sono uscito dal giro.

Quali sono stati i tuoi primi lavori?

Ho fatto una cassetta nel ’94 con Max M’bassadò con il nome Sacco e Vanzetti Syndicate, ma il primo disco vero e proprio lo abbiamo pubblicato sempre insieme nel ’98, con il nome Note al Margine. Poco dopo ho collaborato con Emron e Mich in un altri due progetti. Poi ho conosciuto la 21, che all’epoca era chiamata la Sacra Corona Unita, quindi Giuann Shadai e tutta la crew. Con loro ho passato bellissimi momenti e suonato molto il giro. Poi sono arrivati gli Amari.

Ci racconti un po’ delle tue vicende con gli Amari?

Con gli Amari ho fatto un percorso molto bello, perché con loro riuscivo a trovare una dimensione molto stimolante per quanto riguarda il Turntablism. Loro hanno un’impronta parecchio sperimentale, quindi potevo permettermi delle situazioni di scratch diverse dalle classiche routine che trovi nel rap, che sinceramente hanno un po’ rotto. Il Turntablism nel Rap non è ancora considerato così importante. Molti dj utilizzano sempre gli stessi suoni classici, tanta tecnica e pochissima espressività, perché devono far vedere quanto sono veloci e quanto casino fanno.

Nel 2000 con gli Amari ci siamo iscritti ad Arezzo Wave, perché volevamo avere una certa visibilità con il pubblico. Ci è andata bene perché abbiamo vinto come Miglior gruppo della scena Friulana. Il premio era uno stage sul mondo della musica a 360 gradi e la registrazione di un disco con l’etichetta di Arezzo Wave, che è Onda Anomala. Abbiamo registrato Apotheke, che è il primo album degli Amari ad essere prodotto professionalmente. Prima di questo c’era un altro disco, che avevamo registrato tra di noi assieme a Dj T di Verona.

Poi cosa è successo?

La nostra strada è andata avanti ancora un po’. Nel 2002 mi sono trasferito a Udine per agevolare le cose con loro. Però ero messo abbastanza male, non avevo lavoro; in più mi è capitato un incidente in palestra, mi sono slogato una caviglia facendo dei salti, quindi mi sono ritrovato in stampelle. In quelle condizioni non ero in grado di stare dietro il progetto Amari, quindi abbiamo fatto una riunione, dove abbiamo deciso che sarei rimasto fuori dal progetto, finché non mi fossi ripreso fisicamente e finanziariamente. Le cose non sono andate come previsto e le nostre strade si sono divise. Nel giro di un anno mi sono ripreso con la caviglia, quindi ho ricominciato ad insegnare Break Dance e ginnastica artistica in alcune palestre. Però ero sempre in Friuli, che non era il mio luogo, quindi nel 2008 ho deciso di ritornare in Veneto e mi sono trasferito qui a Bassano.

Tornando al Turntablism, a fine anni ’90 hai fatto il giudice per i campionati mondiali dei DMC. Ci racconti un po’ com’è andata?

Io dal ’95 fino a che non mi hanno chiamato avevo smesso di seguire i DMC perché avevo visto delle gare dove le routine stavano veramente degenerando. C’era gente che faceva cose terribili, tipo scratchare con una bicicletta in spalla; e in più non combinavano niente. Tra l’altro una stranezza, DMC vuol dire Disco Mix Club, che non c’entra assolutamente niente con il torneo.

La prima volta che ho partecipato ai DMC è stata nel ’98, quando Dj T mi ha chiamato come giudice ufficiale, perché mi conoscevano e sapevano che sono imparziale. Abbiamo fatto le gare in Italia, poi abbiamo seguito il vincitore all’Estero. Dal ’98 al 2000 abbiamo girato Londra, Parigi e New York. L’Italia ovviamente era sempre dietro, in più l’organizzazione non aveva mai soldi per pagare a tutti le trasferte.

In quei tre anni ha sempre vinto Dj Craze.

Ha vinto sempre Craze, che era impossibile da battere. Riusciva a fare un discorso iniziale e di chiusura ed all’interno metteva di tutto, creava la base, pitchava i suoni, scratchava con entrambe le mani. Ed era precisissimo.

Ci parli dei tuoi progetti nuovi?

Adesso ho un piccolo studio che si chiama Dark Room Studio. In questo periodo sto registrando il secondo disco di Malikah Jamilah & Soldiers, che è un’artista del Qatar, prodotta da Dj Nasdaq. Lei ha iniziato cantando Gospel, quindi si porta dietro quest’esperienza, unita all R’n’B, alla Tribal, all’elettronica. È un bellissimo progetto.

Ultima curiosità. Come sta la tua macchina?

Quella famosa, l’Alfetta con le scritte gigantesche, ormai poveretta se n’è andata. Mi ricordo Dj Gruff, che quando l’ha vista ha allargato le braccia e detto “Questa si che è una macchina”. Quando andavo alle feste mi capitava di captare dei passaparola di ragazzi che si dicevano che c’era la mia macchina fuori. Ho sempre avuto il dubbio che volessero rubarmela.

Adesso ne ho un’altra, una 156, però sempre con le scritte grandi sui lati.

Ci consigli un disco?

Il disco di Schoolly D, del ’86-’87. Questo è proprio Hip Hop puro, lui si faceva perfino le copertine. Con questo ci sono cresciuto.

E la tua Routine preferita?

Una routine di Dj JK, che era alla finale mondiale del ‘98 a New York.

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